Sarah Pavan e il mestiere dell'opposto
Aggressiva, sicura dei propri mezzi e senza paura di sbagliare: queste sono le tre caratteristiche che un' opposto deve avere. É infatti l'opposto la schiacciatrice che colpisce il maggior numero di palloni e quella che deve “metterne a terra” di più. In inglese noi usiamo il termine “to kill the ball” , letteralmente “uccidere” il colpo, e penso che questo verbo renda bene l'idea di quello che ci si aspetta dalla giocatrice che riveste questo ruolo. I palloni più “caldi” normalmente vanno proprio a noi ed è per questo che un buon opposto oltre a colpire duro deve essere capace anche di reggere la pressione durante ogni partita, soprattutto quando si gioca punto a punto. Personalmente, penso di sopportarla bene e di riuscire a rimanere lucida nei momenti caldi delle partita. Posso assicurarvi che il “mestiere” dell'opposto non è facile, ma grazie al fatto che sono molti anni che ricopro questo ruolo ho imparato a utilizzare la pressione a mio favore e riesco a rendere di più proprio in queste circostanze. Non c'è altra soluzione: per fare l'opposto ci si deve abituare a giocare sotto pressione; fa parte della stessa natura di questo ruolo. Io personalmente non mi ritengo ancora un opposto “perfetto”: ci sono ancora molte cose che devo migliorare e che sto imparando in questa stagione, come per esempio essere aggressiva durante tutta la partita. Penso che il mio punto di forza sia la potenza e il fatto che possa colpire la palla davvero molto in alto: in questo modo riesco a chiudere degli angoli davvero molto buoni e mettere in difficoltà le avversarie. Poi il fatto di essere mancina è un grande vantaggio in questo ruolo in quanto è più facile giocare da zona 2 colpendo la palla con la mano sinistra. Di natura, inoltre, sono molto competitiva e quindi faccio sempre di tutto per portare a casa la partita e per far vincere la mia squadra: un atteggiamento che ben si sposa con questo ruolo. Sin da quando ero piccola guardavo tanto il volley internazionale e cercavo di studiare e imitare quello che facevano le migliori giocatrici al mondo come per esempio la brasiliana Sheilla. Ma i miei veri modelli erano soprattutto gli opposti uomini perché, nonostante il gioco sia assai differente da quello femminile, penso che si possa imparare molto dal volley maschile.
Prima di arrivare alla pallavolo ho praticato un po' tutti gli sport: calcio, basket, tennis, atletica leggera... e riuscivo bene in tutto! Quello che mi è piaciuto di più della pallavolo è che è uno sport di squadra e il fatto che la vittoria non può dipendere da una sola giocatrice. In generale mi ha colpito l'atmosfera che si respira in campo. Inoltre la pallavolo è uno sport davvero difficile a livello tecnico e quindi mettermi alla prova mi stimolava molto. Quando ho iniziato a giocare all'età di dieci anni, ero alzatrice, ma poi crescendo, anche la mia statura aumentava e mi sono ritrovata subito a giocare come opposto e da quel giorno non ho più cambiato. Diciamo che la mia strada in questo sport era comunque “scritta” nei miei geni: ho iniziato infatti a giocare perché entrambi i miei genitori, Paul e Cindy, erano stati giocatori di pallavolo negli anni '70 e quindi sono cresciuta nelle palestre guardandoli giocare e allenarsi. Mio padre, inoltre, è stato il mio coach per nove anni nella squadra della Forest Heights Collegiate Institute in Ontario, Canada, e devo ringraziare lui per essere diventata una giocatrice professionista. É stato lui infatti che mi ha aiutata a crescere come giocatrice e come persona. Devo ammettere che è stato davvero duro con me per quel che riguarda la pallavolo e non mi lasciava passare davvero nulla, ma questo mi ha reso una giocatrice molto determinata e sicura di quelli che erano i miei obiettivi. Quando avevo circa quattro anni, per esempio, già mi allenava a colpire la palla alta, proprio come facevano gli uomini.
Nel 2004 mi sono però dovuta separare da lui e dal Canada per dirigermi un po' più a sud, negli Stati Uniti: per emergere in questo sport e per potersi confrontare con un livello di gioco più alto, il passaggio nei college americani è indispensabile per noi canadesi. Mio padre mi ha seguito molto nella scelta della mia futura squadra e tra le tante offerte che avevo ricevuto abbiamo accettato quella della University of Nebraska, uno stato nel cuore degli Stati Uniti e molto diverso da Kitchener, la città dell'Ontario nella quale sono cresciuta. Ma sono stati proprio i mie quattro anni con gli Huskers, come vengono chiamate le formazioni della University of Nebraska, a regalarmi uno dei ricordi più belli della mia carriera. Il 16 dicembre del 2006 è stato un giorno magico per me e per tutta la mia squadra in quanto in quella data abbiamo vinto il titolo NCAA (il campionato universitario statunitense) davanti al pubblico di casa. E' stata una vittoria davvero sudata arrivata contro la squadra della Stanford University. Avevamo perso il primo set per 30-26 e dopo aver trovato il pareggio, nella terza frazione abbiamo ricucito uno svantaggio dal 27 a 22. L'ultimo set è stato davvero duro ma il trofeo alla fine lo abbiamo sollevato noi dopo che la stagione prima avevamo perso proprio in finale contro Washington. Io avevo ricevuto diversi premi individuali, ma la vittoria che volevo di più era quella del campionato. Questo sicuramente è stato uno dei momenti più belli della mia carriera ma penso che anche questa stagione possa regalarmi davvero tante soddisfazioni. Dopo aver passato un anno in Korea in un campionato per me tutto nuovo, ho accettato l'offerta di Villa Cortese che mi ha voluto fortemente per questa stagione. La prospettiva di ritornare in Italia e giocare in una squadra che punta in alto sia in ambito nazionale che internazionale sono state due grande motivazioni per me.
Al momento stiamo facendo molto bene e abbiamo davvero la possibilità di raggiungere i nostri obiettivi, disputare cioè un grande campionato e riuscire ad aggiudicarci le competizioni in cui siamo impegnate, come la Champions League. Sinceramente non ho mai pensato ai mie obiettivi personali perché ragiono sempre in termini della mia squadra: quando si vince sono contenta e quindi ciò è l'unica cosa di cui mi devo preoccupare. Inoltre, Marcello Abbondanza, il mio coach, mi sta aiutando davvero a crescere e a raggiungere un livello di gioco sempre più alto, per esempio giocando palle più veloci e tese. Qualche mese fa avrei detto le palle alte erano il mio colpo preferito, ma ora grazie anche alla nostra alzatrice sto imparando a giocare palloni più veloci e mi piace davvero tanto. Inoltre mi diverto ad attaccare dalla seconda linea, uno dei colpi più efficaci dell'opposto.
Per queste mie caratteristiche tecniche lo stile di gioco tipico statunitense mi si addice meglio anche perché la struttura fisica delle giocatrici è più vicina alla mia e si gioca principalmente su quelle fasi di gioco – attacco e muro - nelle quali io sono più forte. In Korea, dove ho disputato la scorsa stagione, invece la maggior parte delle giocatrici sono di statura più bassa e quindi tutto il gioco si concentra sulla difesa. Certo, per me era davvero molto più semplice attaccare perché ero molto più alta rispetto alla media, ma ho avuto molti problemi in difesa. Inoltre, il gioco è davvero molto veloce perché essendo più minute sono più rapide nei movimenti e quindi anche gli schemi d'attacco sono più rapidi. In Italia invece diciamo che c'è un certo bilanciamento tra le due: le giocatrici sono offensive ma se la cavano molto bene anche in fase di difesa. Anche se un opposto deve essere aggressivo, io in realtà sono una persona molto timida e pacata sia in campo che fuori. Parlare alle persone, quando ancora non le conosco, è davvero dura per me. In campo non parlo molto e non sono una di quelle che urla o incita le proprie compagne a gran voce. Se conosco bene l'altra persona invece mi è facile aprirmi, fare scherzi ed essere molto diretta, ma in generale sono molto molto timida e calma. Non sempre però questo aspetto del mio carattere è positivo. Infatti, essere timida e calma può essere negativo in quanto le persone spesso fraintendono questi comportamenti vedendoli come altezzosi.
Questo di essere mal interpretata è una cosa che mi preme tantissimo e che mi ha creato anche dei problemi due anni fa qui in Italia, quando le cose che avevo scritto sul mio blog hanno scatenato tante polemiche. É stato un insieme di cose alquanto sfortunato, in quanto l'umorismo che ho usato nel raccontare qualche episodio della mia stagione a Conegliano è stato frainteso mentre io non volevo assolutamente ferire nessuno.Con la società e le mie compagne mi sono spiegata e scusata, e il fatto non ha avuto nessuna ripercussione sulla mia carriera. La cosa che non mi è piaciuta è forse stato che quella polemica sia stata usata per definire chi sono come persona creando così una Sarah completamente diversa da quella che sono in realtà. Tanto che io amo la cultura italiana e quest'anno con mio marito Adam stiamo cercando di visitare il più possibile il vostro paese. La città che preferisco è Torino dove spesso vado a fare shopping e mi trascino anche lui che mi deve sopportare mentre io passo da un negozio all'altro. Ma dell'Italia apprezzo tutto: la cucina, la storia, il senso della famiglia che voi italiani avete e soprattutto la passione che mettete nel fare le cose. E poi in qualche modo sono collegata all'Italia: i genitori di mio padre sono originari del Veneto.
L'articolo originale è pubblicato sul numero di dicembre 2011 di Pallavoliamo nella sezione "I mestieri del volle"
La foto di testata è di Marco Battiston, pubblicata su Pallavoliamo
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