Monica De Gennaro: i mestieri del volley
L'ANIMA DELLA SQUADRA
Diventare un libero dopo aver giocato sempre da posto 4 non è un passaggio semplice, soprattutto a livello mentale: si passa infatti da un ruolo nel quale si giocano molti palloni a uno dove spesso capita di non toccare palla per molti scambi. E lo è stato anche per me, quando nel mio primo anno a Vicenza, il mio allenatore ha pensato di spostarmi in questo ruolo: abituata a schiacciare ed attaccare molti palloni, durante gli allenamenti mi sembrava di non fare nulla! Immergermi nel ruolo del libero e vestire i suoi panni, per me è stata una vera e propria sfida a livello mentale! Inoltre, all'epoca, non si dava molto importanza a questo ruolo e lo si vedeva quasi un ripiego per quelle giocatrici “bassette” che, per sperare di giocare nelle categorie superiori, non potevano fare altro. L'idea comunque di poter difendere mi è piaciuta sin dall'inizio, ed ero inoltre consapevole che la ricezione ha una grande importanza nell'economia del gioco; certo la difesa, è quella che anche il pubblico apprezza di più soprattutto quando è spettacolare, ma la ricezione mi piace perché un buon appoggio permette poi all'alzatrice di giostrare al meglio le proprie schiacciatrici: è un gesto più tecnico, meno spettacolare ma sicuramente molto importante in fase di gioco e che può darti molte soddisfazioni.
La parte più difficile nel ricoprire questo ruolo è comunque rimanere concentrati durante l'intera partita, proprio perché si giocano pochi palloni e si rischia quindi di perdere il ritmo del gioco. Inoltre, hai pochi margini di errore: quelle poche palle che ti arrivano in difesa le devi prendere e quelle poche che ti arrivano in ricezione le devi piazzare precise sulla mani dell'alzatrice. Non è quindi un ruolo facile! Ma il contributo più importante di un libero in campo si gioca più a livello di “atteggiamento”. Se l'alzatrice è la mente, l'opposto il braccio, il libero è un po' l'anima della squadra: se tu stai lì, lotti su tutti i palloni in difesa, il tuo atteggiamento, la tua voglia di non mollare mai, può influenzare in maniera positiva anche le tue compagne; quello del libero è un compito di grande valore, forse meno evidente o acclamato di quello della schiacciatrice, ma sempre di grande importanza. Per essere un buon libero, quindi, non basta la tecnica: avere sensibilità nel bagher, saper leggere le situazioni in ricezione e in difesa, essere rapidi e reattivi sono sicuramente caratteristiche importanti, ma quello che conta di più in un libero è l'atteggiamento. Io in campo pretendo molto da me stessa: per questo di cose da migliorare a livello tecnico ne avrei davvero tante. Ma l'aspetto su cui voglio lavorare è imparare a dare la dovuta importanza agli altri ricettori nelle varie fasi di difesa e ricezione. Saper dirigere la ricezione aiutando le compagne a sistemarsi al meglio per la ricezione è infatti un altro compito importante del libero. Ma non si tratta solo di mettersi nel punto giusto per dare le giuste coordinate alle proprie compagne, ma sapere anche gestire le zone di conflitto, che sono quelle più critiche. Proprio come sanno fare Cardullo e Sykora, le due giocatrici che apprezzo maggiormente per la loro tecnica e soprattutto per il loro atteggiamento in campo.
L'unico neo di essere libero è che quando ti fanno punto non sai come vendicarti: non puoi andare in battuta e fare un ace o attaccare forte contro le avversarie e questo limite è una vera frustrazione per una “aggressiva” e testarda come me! La mia avventura in questo bellissimo sport è iniziata a Sorrento quando ho deciso di seguire le orme di mia sorella maggiore: quando eravamo piccole, mia madre portava me e mia sorella gemella a vedere gli allenamenti e mi sono innamorata di questo sport, perché innanzitutto era uno sport di squadra dove in campo non eri mai lasciata sola e soprattutto era un buon modo per fare delle nuove amicizie. A 13 anni la grande svolta. Per dirle con le parole del mio film preferito “non so se ognuno abbia il suo destino o se siamo tutti trasportati in giro per caso come da una brezza”, ma io ho deciso di seguire quella brezza e ho deciso di lasciare la mia casa, la mia terra e arrivare fino a Vicenza. Una scelta “estrema” per una ragazza di quella età: mi sono ritrovata infatti in una squadra con gente molto più grande di me e quindi all'inizio ero anche un po' timorosa ma allo stesso tempo avevo quel pizzico di “strafottenza” che mi ha aiutato ad inserirmi bene e a sopportare la distanza. A tranquillizzare i miei c’era poi il fatto che avessi degli zii a Lonigo, un paese a pochi chilometri da dove avrei giocato. E in fin dei conti, pensavo che se le cose non fossero andate, dopo un paio di mesi sarei potuta tranquillamente tornare a casa. In realtà, tra scuola, palestra, partite di campionato e le gare di A1 da seguire in tribuna, di tempo per pensare alla nostalgia ce n'era davvero poco.
Sono rimasta a Vicenza per sette anni, tra giovanili, serie B e A1. Con la maglia della Minetti ho vinto lo scudetto Under 19 e ho conquistato la promozione in B1. La partita che mi ricorderò per sempre è stata quella del mio debutto assoluto in serie A nella stagione 2004-2005 contro la Colussi Perugia in Coppa Italia, quando al di là della rete c'erano giocatrici del calibro di Gioli, Fofao, Aguero e Francia. Quella gara la vincemmo per 3 a 1, anche se dopo è stata Perugia ad avanzare e vincere il titolo. Fare il proprio debutto in un match così importante è stato sicuramente di buon auspicio e da buona napoletana sono abbastanza scaramantica, soprattutto in campo. Quando devo giocare, per esempio, metto sempre le stesse forcine, elastici, calzetti e persino lo stesso intimo; nello spogliatoio, prima dell'ingresso in campo, cerco di ripetere sempre gli stessi gesti! Nella vita di tutti i giorni invece lo sono meno: non credo per esempio che il gatto nero porti sfortuna...o che il 17 sia un numero sfortunato. É infatti con questo numero che ho raggiunto grandi risultati, anche se la scelta è stata un po' “obbligata”. Sin da piccola il mio numero di maglia era stato il 7, ma quando sono arrivata a Vicenza il mio numero fortunato l'aveva già scelto Dall'Igna. Ho quindi optato per un numero nel quale il 7 comparisse lo stesso...e devo dire che ha portato bene nonostante il 17 abbia una cattiva nomea. Sotto la scala però non ci passo...meglio non sfidare troppo la sorte! Ma torniamo alla pallavolo. Nella stagione successiva al mio debutto sui campi della serie A sono poi entrata nella rosa delle titolari. L'essere allenata da Manu Benelli è stato sicuramente la chiave di svolta per me: è grazie a lei che ho infatti fatto quel salto di qualità dalla pallavolo delle giovanili a quelle della massima serie.
Ma prima di approdare alle grandi squadre, come la Scavolini Pesaro, ho pensato fosse un buon compromesso giocare una stagione da titolare in A2. Infatti, a differenza della A1 dove la maggior parte delle schiacciatrici preferisce attacchi potenti, nella seconda serie italiana il gioco permette più fasi di recupero e di difesa: in questo modo, un libero ha la possibilità di giocare più palloni e di farsi le ossa. Per questo, la stagione con la maglia dell'Aprilia è stato un momento importante di crescita per me. Inoltre, il campionato di A2 è molto più competitivo in quanto non ci sono squadre dominanti e anche se abbiamo vinto coppa Italia e campionato, non ci sono mai state partite semplici da giocare. Nonostante la buona stagione che avevo fatto, tuttavia, non me l'aspettavo di essere chiamata da una società così titolata come la Scavolini dopo un anno in A2, anche perché in Italia di liberi di un certo livello ce ne sono tanti. Inoltre, giocare per le campionesse d'Italia era davvero una bella responsabilità: voleva dire mettersi in discussione dopo un anno molto positivo e passare da una lega più “nascosta” ai riflettori della serie A e delle coppe europee! Sfortunatamente, in queste due stagioni sento di non essere riuscita ancora a giocare al meglio, e i risultati fino ad ora ottenuti ne sono una triste dimostrazione.
Anche per questo, la convocazione in nazionale è stata una vera sorpresa! Inoltre, inizialmente, dopo l'Europeo, Barbolini aveva convocato tre liberi completamente diversi e io neppure non c'ero tra quei nomi: è stato tutto molto inaspettato, e in un certo senso … strano. Se da un lato ero infatti felicissima di poter indossare la maglia della nazionale, mi dispiaceva davvero tanto partire al posto di Serena Ortolani, mia compagna di squadra, che sapevo teneva molto a quella convocazione e a disputare una competizione dove avrebbe potuto giocare. Anche se sapevo che partivo per stare tutto il tempo in panchina, o meglio in tribuna, la convocazione azzurra è un riconoscimento che ti dà maggior voglia e spinta. Qualsiasi giocatrice ha degli obiettivi nella propria carriera e questi obiettivi ti portano ad allenarti tutti i giorni e a dare il massimo. Una convocazione in nazionale sicuramente ti dà delle motivazioni in più e lo è stato anche per me: è stato come ripagare i sacrifici fatti in tutta la vita! Ma non è sicuramente un punto d'arrivo per me; al contrario, è uno stimolo in più per riuscire a dare il meglio in questo campionato.
É proprio vero, come diceva Forrest Gump, che “la vita è come una scatola di cioccolatini, non sai mai quello che ti capita”. Forrest Gump è anche il mio film preferito e ogni volta che lo guardo mi commuovo sempre. Mi piace molto il cinema, anche se è il mio ragazzo il vero esperto. Parlando di film, nell'estate del 2008 ho anche avuto la possibilità di girare uno spot con Aldo, Giovanni e Giacomo. Non potete immaginare le risate che ci siamo fatti su quel set! Non avevo mai fatto un' esperienza del genere e mi è piaciuto molto. Loro sono esattamente come si vedono nei film: un vero spasso. Tra un ciak e l'altro c'erano tante pause, perché c'erano tre momenti diversi e quindi bisognava aspettare che la troupe preparasse tutta la scenografia e montasse le telecamere. In questi momenti capitava che Aldo imitasse il cane che ti morde al polpaccio o che durante la cena facessero la guerra con le molliche di pane. E il tutto senza che ci conoscessero poi così tanto bene dato che abbiamo filmato tutto in una sola giornata. Per me era un po' strano perché normalmente sono una persona molto socievole, ma non mi piace aprimi troppo con le persone che non conosco....ma sto migliorando, soprattutto nelle interviste! Nello spot mi hanno pure fatto giocare sulla sabbia: e io amo il beach volley e la sua versione più “pallavolistica” del sand volley. Giocare sulla spiaggia è un divertimento assoluto: come libero puoi buttarti un po' come vuoi... tanto sulla sabbia non ti fai male! Ma è anche divertente perché nel sand volley non ci sono delle regole strette come nella pallavolo e quindi mi capita anche di schiacciare. E in fondo in fondo, ho ancora un po' l'anima della schiacciatrice!
L'articolo originale è pubblicato sul numero di febbraio 2012.
La foto di testata è di Davide Gennari ed è pubblicata sul numero di febbraio 2012.
Diventare un libero dopo aver giocato sempre da posto 4 non è un passaggio semplice, soprattutto a livello mentale: si passa infatti da un ruolo nel quale si giocano molti palloni a uno dove spesso capita di non toccare palla per molti scambi. E lo è stato anche per me, quando nel mio primo anno a Vicenza, il mio allenatore ha pensato di spostarmi in questo ruolo: abituata a schiacciare ed attaccare molti palloni, durante gli allenamenti mi sembrava di non fare nulla! Immergermi nel ruolo del libero e vestire i suoi panni, per me è stata una vera e propria sfida a livello mentale! Inoltre, all'epoca, non si dava molto importanza a questo ruolo e lo si vedeva quasi un ripiego per quelle giocatrici “bassette” che, per sperare di giocare nelle categorie superiori, non potevano fare altro. L'idea comunque di poter difendere mi è piaciuta sin dall'inizio, ed ero inoltre consapevole che la ricezione ha una grande importanza nell'economia del gioco; certo la difesa, è quella che anche il pubblico apprezza di più soprattutto quando è spettacolare, ma la ricezione mi piace perché un buon appoggio permette poi all'alzatrice di giostrare al meglio le proprie schiacciatrici: è un gesto più tecnico, meno spettacolare ma sicuramente molto importante in fase di gioco e che può darti molte soddisfazioni.
La parte più difficile nel ricoprire questo ruolo è comunque rimanere concentrati durante l'intera partita, proprio perché si giocano pochi palloni e si rischia quindi di perdere il ritmo del gioco. Inoltre, hai pochi margini di errore: quelle poche palle che ti arrivano in difesa le devi prendere e quelle poche che ti arrivano in ricezione le devi piazzare precise sulla mani dell'alzatrice. Non è quindi un ruolo facile! Ma il contributo più importante di un libero in campo si gioca più a livello di “atteggiamento”. Se l'alzatrice è la mente, l'opposto il braccio, il libero è un po' l'anima della squadra: se tu stai lì, lotti su tutti i palloni in difesa, il tuo atteggiamento, la tua voglia di non mollare mai, può influenzare in maniera positiva anche le tue compagne; quello del libero è un compito di grande valore, forse meno evidente o acclamato di quello della schiacciatrice, ma sempre di grande importanza. Per essere un buon libero, quindi, non basta la tecnica: avere sensibilità nel bagher, saper leggere le situazioni in ricezione e in difesa, essere rapidi e reattivi sono sicuramente caratteristiche importanti, ma quello che conta di più in un libero è l'atteggiamento. Io in campo pretendo molto da me stessa: per questo di cose da migliorare a livello tecnico ne avrei davvero tante. Ma l'aspetto su cui voglio lavorare è imparare a dare la dovuta importanza agli altri ricettori nelle varie fasi di difesa e ricezione. Saper dirigere la ricezione aiutando le compagne a sistemarsi al meglio per la ricezione è infatti un altro compito importante del libero. Ma non si tratta solo di mettersi nel punto giusto per dare le giuste coordinate alle proprie compagne, ma sapere anche gestire le zone di conflitto, che sono quelle più critiche. Proprio come sanno fare Cardullo e Sykora, le due giocatrici che apprezzo maggiormente per la loro tecnica e soprattutto per il loro atteggiamento in campo.
L'unico neo di essere libero è che quando ti fanno punto non sai come vendicarti: non puoi andare in battuta e fare un ace o attaccare forte contro le avversarie e questo limite è una vera frustrazione per una “aggressiva” e testarda come me! La mia avventura in questo bellissimo sport è iniziata a Sorrento quando ho deciso di seguire le orme di mia sorella maggiore: quando eravamo piccole, mia madre portava me e mia sorella gemella a vedere gli allenamenti e mi sono innamorata di questo sport, perché innanzitutto era uno sport di squadra dove in campo non eri mai lasciata sola e soprattutto era un buon modo per fare delle nuove amicizie. A 13 anni la grande svolta. Per dirle con le parole del mio film preferito “non so se ognuno abbia il suo destino o se siamo tutti trasportati in giro per caso come da una brezza”, ma io ho deciso di seguire quella brezza e ho deciso di lasciare la mia casa, la mia terra e arrivare fino a Vicenza. Una scelta “estrema” per una ragazza di quella età: mi sono ritrovata infatti in una squadra con gente molto più grande di me e quindi all'inizio ero anche un po' timorosa ma allo stesso tempo avevo quel pizzico di “strafottenza” che mi ha aiutato ad inserirmi bene e a sopportare la distanza. A tranquillizzare i miei c’era poi il fatto che avessi degli zii a Lonigo, un paese a pochi chilometri da dove avrei giocato. E in fin dei conti, pensavo che se le cose non fossero andate, dopo un paio di mesi sarei potuta tranquillamente tornare a casa. In realtà, tra scuola, palestra, partite di campionato e le gare di A1 da seguire in tribuna, di tempo per pensare alla nostalgia ce n'era davvero poco.
Sono rimasta a Vicenza per sette anni, tra giovanili, serie B e A1. Con la maglia della Minetti ho vinto lo scudetto Under 19 e ho conquistato la promozione in B1. La partita che mi ricorderò per sempre è stata quella del mio debutto assoluto in serie A nella stagione 2004-2005 contro la Colussi Perugia in Coppa Italia, quando al di là della rete c'erano giocatrici del calibro di Gioli, Fofao, Aguero e Francia. Quella gara la vincemmo per 3 a 1, anche se dopo è stata Perugia ad avanzare e vincere il titolo. Fare il proprio debutto in un match così importante è stato sicuramente di buon auspicio e da buona napoletana sono abbastanza scaramantica, soprattutto in campo. Quando devo giocare, per esempio, metto sempre le stesse forcine, elastici, calzetti e persino lo stesso intimo; nello spogliatoio, prima dell'ingresso in campo, cerco di ripetere sempre gli stessi gesti! Nella vita di tutti i giorni invece lo sono meno: non credo per esempio che il gatto nero porti sfortuna...o che il 17 sia un numero sfortunato. É infatti con questo numero che ho raggiunto grandi risultati, anche se la scelta è stata un po' “obbligata”. Sin da piccola il mio numero di maglia era stato il 7, ma quando sono arrivata a Vicenza il mio numero fortunato l'aveva già scelto Dall'Igna. Ho quindi optato per un numero nel quale il 7 comparisse lo stesso...e devo dire che ha portato bene nonostante il 17 abbia una cattiva nomea. Sotto la scala però non ci passo...meglio non sfidare troppo la sorte! Ma torniamo alla pallavolo. Nella stagione successiva al mio debutto sui campi della serie A sono poi entrata nella rosa delle titolari. L'essere allenata da Manu Benelli è stato sicuramente la chiave di svolta per me: è grazie a lei che ho infatti fatto quel salto di qualità dalla pallavolo delle giovanili a quelle della massima serie.
Ma prima di approdare alle grandi squadre, come la Scavolini Pesaro, ho pensato fosse un buon compromesso giocare una stagione da titolare in A2. Infatti, a differenza della A1 dove la maggior parte delle schiacciatrici preferisce attacchi potenti, nella seconda serie italiana il gioco permette più fasi di recupero e di difesa: in questo modo, un libero ha la possibilità di giocare più palloni e di farsi le ossa. Per questo, la stagione con la maglia dell'Aprilia è stato un momento importante di crescita per me. Inoltre, il campionato di A2 è molto più competitivo in quanto non ci sono squadre dominanti e anche se abbiamo vinto coppa Italia e campionato, non ci sono mai state partite semplici da giocare. Nonostante la buona stagione che avevo fatto, tuttavia, non me l'aspettavo di essere chiamata da una società così titolata come la Scavolini dopo un anno in A2, anche perché in Italia di liberi di un certo livello ce ne sono tanti. Inoltre, giocare per le campionesse d'Italia era davvero una bella responsabilità: voleva dire mettersi in discussione dopo un anno molto positivo e passare da una lega più “nascosta” ai riflettori della serie A e delle coppe europee! Sfortunatamente, in queste due stagioni sento di non essere riuscita ancora a giocare al meglio, e i risultati fino ad ora ottenuti ne sono una triste dimostrazione.
Anche per questo, la convocazione in nazionale è stata una vera sorpresa! Inoltre, inizialmente, dopo l'Europeo, Barbolini aveva convocato tre liberi completamente diversi e io neppure non c'ero tra quei nomi: è stato tutto molto inaspettato, e in un certo senso … strano. Se da un lato ero infatti felicissima di poter indossare la maglia della nazionale, mi dispiaceva davvero tanto partire al posto di Serena Ortolani, mia compagna di squadra, che sapevo teneva molto a quella convocazione e a disputare una competizione dove avrebbe potuto giocare. Anche se sapevo che partivo per stare tutto il tempo in panchina, o meglio in tribuna, la convocazione azzurra è un riconoscimento che ti dà maggior voglia e spinta. Qualsiasi giocatrice ha degli obiettivi nella propria carriera e questi obiettivi ti portano ad allenarti tutti i giorni e a dare il massimo. Una convocazione in nazionale sicuramente ti dà delle motivazioni in più e lo è stato anche per me: è stato come ripagare i sacrifici fatti in tutta la vita! Ma non è sicuramente un punto d'arrivo per me; al contrario, è uno stimolo in più per riuscire a dare il meglio in questo campionato.
É proprio vero, come diceva Forrest Gump, che “la vita è come una scatola di cioccolatini, non sai mai quello che ti capita”. Forrest Gump è anche il mio film preferito e ogni volta che lo guardo mi commuovo sempre. Mi piace molto il cinema, anche se è il mio ragazzo il vero esperto. Parlando di film, nell'estate del 2008 ho anche avuto la possibilità di girare uno spot con Aldo, Giovanni e Giacomo. Non potete immaginare le risate che ci siamo fatti su quel set! Non avevo mai fatto un' esperienza del genere e mi è piaciuto molto. Loro sono esattamente come si vedono nei film: un vero spasso. Tra un ciak e l'altro c'erano tante pause, perché c'erano tre momenti diversi e quindi bisognava aspettare che la troupe preparasse tutta la scenografia e montasse le telecamere. In questi momenti capitava che Aldo imitasse il cane che ti morde al polpaccio o che durante la cena facessero la guerra con le molliche di pane. E il tutto senza che ci conoscessero poi così tanto bene dato che abbiamo filmato tutto in una sola giornata. Per me era un po' strano perché normalmente sono una persona molto socievole, ma non mi piace aprimi troppo con le persone che non conosco....ma sto migliorando, soprattutto nelle interviste! Nello spot mi hanno pure fatto giocare sulla sabbia: e io amo il beach volley e la sua versione più “pallavolistica” del sand volley. Giocare sulla spiaggia è un divertimento assoluto: come libero puoi buttarti un po' come vuoi... tanto sulla sabbia non ti fai male! Ma è anche divertente perché nel sand volley non ci sono delle regole strette come nella pallavolo e quindi mi capita anche di schiacciare. E in fondo in fondo, ho ancora un po' l'anima della schiacciatrice!
L'articolo originale è pubblicato sul numero di febbraio 2012.
La foto di testata è di Davide Gennari ed è pubblicata sul numero di febbraio 2012.
Commenti
Posta un commento