College Basketball Tour, a lezione di basket dalla NCAA
Sul punteggio di 47 a 78 la partita è ormai decisa. I Terriers hanno in mano il gioco e Fanning ha appena eseguito una straordinaria schiacciata letteralmente in faccia al malcapitato avversario di turno, proteso nel tentativo di fermare l’avanzata del numero 23. All’improvviso, però, l’arbitro fischia e segnala la richiesta di time out dalla panchina di Boston. Coach Jones prende la lavagnetta e, dopo averla sbattuta ripetutamente sulle ginocchia, inizia a scribacchiare schemi d’attacco con ritmo frenetico. I suoi gesti e la sua voce sembrerebbero più adatti ad uno svantaggio da recuperare piuttosto che ad un ampio vantaggio da gestire. Disorientata, mi avvicino al secondo allenatore che mi spiega che Joe è infuriato perché i suoi “kids” non stanno più chiamando gli schemi e non rispettano le direttive della panchina.
E non finisce qui: dopo la strigliata, Hankerson e compagni rientrano in campo e giocano ogni azione come se fosse il canestro della partita; così, ogni qualvolta i Terriers mettono a segno un recupero in difesa, il pubblico del vecchio hangar di Pesaro ripaga i giocatori con una standing ovation collettiva.
Basterebbero questi due episodi per capire lo spirito che regna in una squadra di college statunitense: massima serietà da parte del nutrito staff e una devozione totale da parte dei giocatori chiamati a dare il massimo anche in una semplice amichevole oltreoceano o con un vantaggio di trenta lunghezze.
E non finisce qui: dopo la strigliata, Hankerson e compagni rientrano in campo e giocano ogni azione come se fosse il canestro della partita; così, ogni qualvolta i Terriers mettono a segno un recupero in difesa, il pubblico del vecchio hangar di Pesaro ripaga i giocatori con una standing ovation collettiva.
Basterebbero questi due episodi per capire lo spirito che regna in una squadra di college statunitense: massima serietà da parte del nutrito staff e una devozione totale da parte dei giocatori chiamati a dare il massimo anche in una semplice amichevole oltreoceano o con un vantaggio di trenta lunghezze.
Ed è proprio qui che entra in gioco il merito del College Basketball Tour : portare in Italia quei valori e quei principi che rendono la NCAA uno dei serbatoi principali del basket professionistico non solo statunitense ma anche europeo.
Durante le diciassette gare che si sono svolte tra Vicenza, Mantova, Jesolo, Pesaro e Roma i ragazzi di Notre Dame, Michigan Basketball, Providence Friars e Boston University e le ragazze della St. Francis, New Mexico, Georgia Bulldogs e St. Jhon’s hanno saputo infatti portare sui parquet italiani quello spirito unico che si respira sui campi americani, uno spirito che fa dell’agonismo uno delle sue leve fondamentali: “è sempre difficile giocare con queste squadre; fanno pressing a tutto campo e anche tanto “casino” durante la partita” – ci conferma Mauro Procaccini, allenatore delle Adriatic Sea Sirens – “il basket nei college americani è molto fisico e aggressivo per tutta la partita: il loro è un modo di intendere lo sport in termini di agonismo e competizione”. Un’intensità che a detta di Gianluca Mattioli, arbitro del match tra le Sirene e St. Francis “non si vede spesso in Italia tra le donne e in alcuni frangenti neppure tra gli uomini”.
Durante le diciassette gare che si sono svolte tra Vicenza, Mantova, Jesolo, Pesaro e Roma i ragazzi di Notre Dame, Michigan Basketball, Providence Friars e Boston University e le ragazze della St. Francis, New Mexico, Georgia Bulldogs e St. Jhon’s hanno saputo infatti portare sui parquet italiani quello spirito unico che si respira sui campi americani, uno spirito che fa dell’agonismo uno delle sue leve fondamentali: “è sempre difficile giocare con queste squadre; fanno pressing a tutto campo e anche tanto “casino” durante la partita” – ci conferma Mauro Procaccini, allenatore delle Adriatic Sea Sirens – “il basket nei college americani è molto fisico e aggressivo per tutta la partita: il loro è un modo di intendere lo sport in termini di agonismo e competizione”. Un’intensità che a detta di Gianluca Mattioli, arbitro del match tra le Sirene e St. Francis “non si vede spesso in Italia tra le donne e in alcuni frangenti neppure tra gli uomini”.
E per capire come vivono queste “amichevoli” gli atleti americani, basta ascoltare le parole di Aaliyah Lewis, guardia della St. John’s University, al rientro in campo dopo la pausa lunga: “sì, stiamo giocando bene e siamo riuscite ad allungare; ma nel terzo e quarto periodo dovremmo giocare ancora più forte e tenere alto il nostro ritmo”.
Ma non si tratta solo di questo: a rendere unica l’atmosfera del basket statunitense ci sono infatti gli incitamenti continui da parte dei propri allenatori e assistenti ad ogni azione; i suggerimenti dati ad ogni giocatore ad ogni singolo cambio e i personaggi che popolano il mondo NCAA. A seguire Michingan, per esempio, sono arrivati quasi 80 supporters che hanno letteralmente colorato il palas di Vicenza di blue e giallo; per non parlare delle mascotte delle squadre e di Father Rock, la guida spirituale della squadra femminile di St. Johns’ che ha deciso di seguire in Italia – la patria del cristianesimo – le sue ragazze: “il basket è uno strumento verso il Signore, in quanto insegna il rispetto verso il prossimo e il senso di fraternità” – assicura – “prima di ogni partita, negli spogliatoi, dico alle mie ragazze “se ognuno di noi fa la sua parte, allora Dio farà la sua”.
Infine, ciò che rende unico lo sport statunitense, già a partire dai college, è il senso di “spettacolo” che si esprime in giocate che più di una volta hanno fatto saltare in piedi il pubblico. Chiedete a Eric Fanning della Boston University che nel quarto periodo del match contro i gli Adriatic Sea Tritons ha regalato al pubblico di Pesaro un piccolo capolavoro cestistico: “in campo è bello anche divertirsi; avevo la palla in mano e sapevo che quello era il momento giusto per fare quella schiacciata”.
Confrontarsi con questi college è un’occasione unica e irripetibile
Un atteggiamento che ha finito per influenzare anche gli stessi giocatori italiani; parola del pesarese Fabio Marcante che sottolinea come “giocare contro queste squadre e questi giocatori ti fa tirare fuori la “tigna” di cui noi pesaresi andiamo davvero molto fieri”. Gli fa eco anche “Bicio” Facenda: “Dal mio punto di vista come giocatore posso dire che l’occasione di confrontarsi con questi college è unica e spesso difficilmente ripetibile. Il palcoscenico che si ha scendendo in campo è unico : è semplicemente meraviglioso pensare di sfidare giocatori e giocatrici che potrebbero essere in campo nei prossimi anni in franchigie NBA o in club Europei”.
In questo senso, il College Basketball Tour può essere una grande risorsa per entrambi le parti: se da un lato serve infatti ai college statunitensi per rifinire gli schemi in campo e provare nuove soluzioni nelle formazioni in vista del campionato, per gli italiani, confrontarsi con un modo diverso di intendere il basket, può essere uno stimolo a migliorarsi. Per questo, tra gli obiettivi degli organizzatori ci sarebbe quello di coinvolgere anche le squadre di serie A della Lega Italiana, proprio come è successo a Vicenza, quando contro la squadra dei Michigan Wolverlines è scesa in campo la formazione degli Stings di Mantova che si è arresa sul 96 a 76 dopo due strepitose rimonte nel secondo e ultimo quarto.
In questo senso, il College Basketball Tour può essere una grande risorsa per entrambi le parti: se da un lato serve infatti ai college statunitensi per rifinire gli schemi in campo e provare nuove soluzioni nelle formazioni in vista del campionato, per gli italiani, confrontarsi con un modo diverso di intendere il basket, può essere uno stimolo a migliorarsi. Per questo, tra gli obiettivi degli organizzatori ci sarebbe quello di coinvolgere anche le squadre di serie A della Lega Italiana, proprio come è successo a Vicenza, quando contro la squadra dei Michigan Wolverlines è scesa in campo la formazione degli Stings di Mantova che si è arresa sul 96 a 76 dopo due strepitose rimonte nel secondo e ultimo quarto.
La presenza di squadre “vere” e non selezioni “all stars”, infatti, non solo garantirebbe partite più equilibrate ma anche test più attendibili. Non a caso, il campo ha sempre dato ragione alle squadre statunitensi, con un solo grande brivido nella partita tra le Adriatic Sea Sirens e la St. Francis University, quando le ragazze di coach Procaccini si sono arrese solo a suon di sirena dopo una gara lottata punto a punto e finita 69-71. Proprio a tale proposito Ales Masetto, organizzatore del College Basketball Tour, puntualizza come “l’unica nota negativa è stata la scarsa disponibilità delle società di vertice per cogliere un opportunità che sia per tutti e di tutti, soprattutto un’occasione per promuovere il nostro bellissimo sport. Speriamo che il prossimo anno si aggiunga qualche altra realtà come Mantova capace di credere in una sfida difficile ma che il pubblico ha dimostrato di saper apprezzare”.
Per l’anno prossimo, obiettivo: migliorare ancora
Coinvolgimento che potrebbe aiutare a raggiungere gli obiettivi per la prossima edizione: “per il prossimo anno, direi soprattutto che occorre fare una seria riflessione per migliorare lo spettacolo, migliorare il nostro livello di competitività e riuscire ad avere in tutte le gare un livello di organizzazione all’altezza di questi fantastici college americani che purtroppo ancora pochi qui da noi hanno capito quanto siano importanti al di là dell’oceano e quanto lo potrebbero essere se solo lo sappiamo comunicare meglio anche qui” – conclude Ales.
“Ancora è presto per i dettagli, ma l’edizione 2015 vedrà una partecipazione ancora più maggiore da parte dei college americani, in numero ed anche in qualità! Quest’anno abbiamo avuto Michigan…non possiamo fare passi indietro!” promette Andrea Sciarrini, organizzatore della tappa di Pesaro. E proprio nella culla della Scavolini, il sogno di tutti sarebbe quello di portare l’evento nella prestigiosa Adriatic Arena “il giusto palcoscenico per questa realtà” sottolinea Bicio.
“Ancora è presto per i dettagli, ma l’edizione 2015 vedrà una partecipazione ancora più maggiore da parte dei college americani, in numero ed anche in qualità! Quest’anno abbiamo avuto Michigan…non possiamo fare passi indietro!” promette Andrea Sciarrini, organizzatore della tappa di Pesaro. E proprio nella culla della Scavolini, il sogno di tutti sarebbe quello di portare l’evento nella prestigiosa Adriatic Arena “il giusto palcoscenico per questa realtà” sottolinea Bicio.
Anche perché, il tour appena conclusosi ha sicuramente dato ragione agli organizzatori: “il bilancio è sicuramente positivo” – conferma Andrea – “sia per la risposta della gente nei palazzetti (i dati parlano di più di 7.000 presenze alle varie gare maschile e femminili) sia per l’attenzione mediatica che ha avuto questa manifestazione su giornali, Tv (Sport Italia ha trasmesso in differita le partite di Michigan e Notre Dame e glihighlights di Boston, St. Francis e St. John’s) e web grazie a Collektr, il sistema innovativo di aggregazione social per la prima volta in Italia ad un evento sportivo con oltre 20.000 schede raccolte. La gioia più grande è però vedere i loro giocatori, tecnici, staff e supporters entusiasti di questa esperienza; senza contare poi il coinvolgimento di tutta la parte italiana,con i giocatori,il pubblico e lo staff stesso! Questo Tour è stato un grande spettacolo per tutti!La cosa più soddisfacente ora è sentirne parlare in giro, vedere le maglie ed i braccialetti del Tour addosso alle persone anche al di fuori dell’evento e ricevere domande sui prossimi appuntamenti!”
L'articolo originale è pubblicato su BasketLive.it
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