I mestieri del volley: Davide Mazzanti


L'intervista con Davide Mazzanti inizia in maniera un po' insolita; almeno per me che normalmente non faccio le fotografie per i miei articoli. Questa volta, invece, armata di macchina fotografica, ho il compito di immortalare Davide nella sua quotidianità, quando una volta lasciati i campi da gioco si rifugia nella sua casa a Marotta circondato dai suoi cari. Sarà per questo che dopo essere passati nella palestra in cui si allenava da giocatore e in spiaggia per un saluto agli amici, mi ritrovo faccia a faccia con la mamma che ci prepara il caffè! Ed è proprio grazie a lei che coach Mazzanti si è avvicinato alla pallavolo: “Ho iniziato a giocare e mi è subito piaciuto. Merito però di mia madre. Infatti, ero uno di quei ragazzi che provavano tutti gli sport ma che alla fine li lasciava tutti. E rischiavo di fare lo stesso con la pallavolo. All'epoca avevo fatto un provino a Fano e il mio allenatore mi aveva detto: “adesso vediamo quanto sei scarso!” Io che ero un po' permaloso mi sono detto “ma chi è questo qua?” e quindi volevo abbandonare già prima di iniziare. È stata mia madre a dirmi di continuare e a convincermi nel farlo. E così ho iniziato e la pallavolo è entrata nella mia vita”

Ma il vero passaggio dalla pallavolo giocata a quella allenata, Davide l'ha fatto non sui campi da volley ma bensì sui banchi di scuola: “tutto nasce per la mia passione verso l'insegnamento. Insegnare è infatti l'aspetto che mi piace di più del mestiere dell'allenatore. All'inizio volevo semplicemente insegnare: non importava cosa....semplicemente volevo insegnare qualcosa. Prima di iscrivermi all'ISEF di Urbino, e quindi indirizzarmi verso lo sport, mi ero infatti iscritto ad ingegneria...chissà, forse all'inizio volevo insegnare elettronica. Anzi, la mia passione per l'insegnamento è iniziato alle superiori proprio con il professore di elettronica, Severini che è stato quello che mi ha trasmesso la passione per l'insegnamento: lui era uno di quegli insegnati che sapeva trasmettere agli alunni la passione verso la materia e io credo che quando riesci a trasmettere la passione per quello che insegni, vuol dire che stai facendo un ottimo lavoro. Quello dell'allenatore è il mestiere più bello per me perché semplicemente è la mia passione; e fare della propria passione il proprio lavoro è davvero un privilegio. La parte più gratificante è proprio quando vedi che sei riuscito a trasmettere qualcosa di tuo alla squadra, in senso tecnico e tattico. Per questo mi piace allenare sia le squadre di giovani di 11 anni che un gruppo di serie A, in quanto vedere i tuoi insegnamenti messi in pratica dà la stessa soddisfazione in entrambi i casi”. Non a caso il ricordo più bello della sua carriera non è tanto legato alla serie A1 come si potrebbe pensare, ma a un gruppo di undicenni di una scuola vicino a Bergamo che per un giorno ha avuto Davide come allenatore: “l'allenamento più bello che ricordo è stato quello ho fatto con un gruppo di bambini di una scuola. Era il mio primo anno a Bergamo da secondo allenatore e mi avevano mandato a fare lezione in questo istituto. Penso che quello che ho fatto quel giorno è stato davvero bello e positivo: sentire di essere riuscito a trasmettere la voglia di giocare a coloro che erano con me quel giorno è stato strepitoso. Mi ricordo quell'allenamento proprio come il giorno dello scudetto”. 

Una risposta che mi coglie davvero di sorpresa ma che rende davvero bene l'idea che coach Mazzanti ha della pallavolo: “la cosa che provo a fare io in palestra è mettere sempre tanto entusiasmo nelle cose che faccio e questo, secondo me, è il modo migliore per non sentire lo stress del dovere vincere e per rimanere concentrati partita dopo partita. Il secondo anno a Bergamo è stato negativo perché avevo in parte perso quell'entusiasmo e non riuscivo quindi neanche a tirare fuori il meglio dalle persone che mi circondavano. Analizzando quella stagione, dopo la vittoria dello scudetto, personalmente avevo una paura folle di cambiare e di montarmi la testa, perché troppo spesso vedevo che chi vince poi cambia atteggiamento. E io non volevo. Quindi per evitare ciò, mi ero “auto-demolito” nel senso che mi ero iper-responsabilizzato su mille cose. Avevo fatto degli errori esattamente come avevo fatto l'anno prima, ma con questa paura mi ero fatto carico di tali errori e quindi continuavo a sbagliare invece che migliorare. Per evitare una cosa, in poche parole, ne avevo creata un'altra peggiore che aveva finito anche per limitare le giocatrici e l'intero staff”. Parole dure, critiche, e un po' in antitesi con lo spirito giocherellone e spiritoso che coach Mazzanti ha mostrato durante il nostro mini servizio fotografico. Ma questi suoi due lati, in apparenza in antitesi, ben si amalgamano nel suo essere allenatore: “durante tutta la mia carriera ho avuto modo di incontrare allenatori davvero bravi - e qui nelle Marche ce ne sono davvero tanti a partire dai miei allenatori qui a Marotta come Roberto Casagrande o Ivan Vitali. Sono state persone che ne sapevano di pallavolo e mi hanno trasmesso tanto. Quando ho iniziato a guardare i professionisti, mi ha colpito soprattutto Lorenzetti, ma anche la passione che sa trasmette Vercesi, la tecnica di Bonitta, il lavoro di Micelli e, anche se non l'ho mai conosciuto di persona, la capacità di Velasco di dire sempre cose interessanti e appropriate. Penso di aver preso un po' do tutti questi grandi allenatori, ma allo stesso tempo credo che la cosa fondamentale è che ognuno abbia il proprio stile. Mi ricordo che il primo allenamento a Ravenna sono uscito dal primo allenamento scioccato perché mi sembrava di non saper fare questo mestiere. Ma mi sono reso conto che il problema maggiore era che stavo cercando di farlo come quelle persone che mi avevano insegnato il mestiere e in quel frangente ho capito che non potevo essere coerenti se mi mettevo i vestiti di un altro. Quindi da lì ho iniziato a seguire il mio stile. All'inizio avevo anche un po' paura perché il mio modo di gestire la squadra era assai diverso da quello di molti altri allenatori che avevo visto vincere in serie A e che erano tutti allenatori “bastonatori”. Ma io non ero e non sono così e il fatto di aver vinto lo scudetto dimostra come sia più importante mantenere il proprio stile ed essere coerenti”. 

Ma come vive la pallavolo coach Mazzanti? “Durante gli allenamenti cerco di fermare il gioco meno possibile e cerco sempre di identificare delle parole chiave che possano aiutare alle mie giocatrici a ricordare un particolare gesto tecnico o un elemento tattico. In questo sono bravo perché sin da quando ero piccolo avevo sempre avuto una grande capacità di sintesi. Il mio obiettivo quando alleno è anche andare contro la squadra per spronarla e prepararla alle situazioni più complesse, ma in partita, e in particolare nei time-out, sono sempre propositivo: quello che metti in partita è il frutto del tuo lavoro e se quindi una match non gira a tuo favore forse c'è un errore a monte e quindi arrabbiarsi e mettersi contro le proprie giocatrici non serve; certo che se c'è da dare una scossa alla squadra allora alzare la voce può starci. La parte più difficile dell'allenare è infatti la gestione del gruppo, perché alla fine l'allenare in senso stretto è la cosa più facile. Invece, non si finisce mai di imparare su come gestire lo spogliatoio. Penso infatti che in un anno si impari molto di più sulla gestione del gruppo che sulla pallavolo tecnica: forse dopo una stagione farai delle correzioni, delle modifiche, ma sulla gestione dei rapporti umani isi mpara sempre qualcosa di veramente nuovo. Per esempio, negli ultimi due anni a Bergamo da questo punto di vista ho imparato davvero tanto, sia vincendo che perdendo; anzi, forse ho imparato di più perdendo”. Ed è proprio con questo spirito e questa nuova consapevolezza che Davide si affaccia a questa nuova esperienza a Piacenza: “mi sento proprio come il mio primo anno a Bergamo, nel senso che ho resettato quello che è successo la scorsa stagione e ho ritrovato il mio modo di interpretare la palestra: l'anno scorso il mio modo di pensare mi aveva un po' spento e sento che questo era il motivo per cui non riuscivo a far fare le cose che volevo alla mia squadra. Ora che ho identificato il problema e non sto più ad “auto-flagellarmi” sono ripartito per la mia giusta strada e lavoro come so fare. Certo, siamo solo all'inizio e fino a che non inizia il duro del campionato tutto è sempre bello; ma questa volta parto con la giusta carica e sono entusiasta della mia squadra”. 

Anche se per alcuni aspetti essere allenatori dipende da capacità innate, alcune si apprendono invece strada facendo, e con la sua carriera fulminante il nuovo allenatore della Rebecchi Nordmeccanica Piacenza ha potuto imparare davvero tanto e in fretta: “a me è capitato tutto alla velocità della luce: prima, 4 anni da solo in terza divisione; poi sono passato a fare il secondo in serie A; dopo tre anni il secondo in serie A1; poi il primo in B1 per poi approdare come secondo in una grande squadra dai grandi obiettivi come Bergamo; dopo tre anni mi sono trovato ad allenare il Club Italia e poi finalmente ad essere il primo allenatore in una squadra di A1. In 12 anni le cose sono successe molto velocemente, per non parlare dei sei anni in nazionale come assistente: un vero e proprio master in pallavolo nel quale puoi imparare davvero tanto. Da questo punto di vista sono stato un privilegiato perché vedere all'opera gli allenatori più forti - non solo quelli che lavorano con te ma anche quelli delle altre nazionali - e quindi vedere con i propri occhi altri modi di fare ed interpretare la pallavolo è un'esperienza unica. Nei tre mesi estivi passati in nazionale ho raccolto un bagaglio immenso. Le Olimpiadi sono poi un capitolo a parte: sono una manifestazione unica nel suo genere perché amplificano tutto il tuo lavoro e paghi quello che hai fatto e non hai fatto”. Ma tutte le vittorie, i grandi successi e la carriera fulminea per Davide hanno un senso e diventano importanti solo se legate agli affetti e alla sua famiglia: “l'emozione dello scudetto è stata sicuramente una cosa indimenticabile. Ma quello che mi ha reso più felice quel giorno è stato quello che ho letto sul volto di chi mi vuole bene. Non avevo mai vinto e quindi cominciare così la propria carriera di allenatore in serie A è stato strepitoso, ma la consapevolezza che quella vittoria ha reso felice le persone che mi stanno vicino è la cosa più importante per me. In questo modo l'evento sportivo passa quasi in secondo piano perché più che la vittoria ti godi la gioia che hai trasmesso agli altri”.

Per questo nel nostro tour fotografico non potevano mancare le foto con i membri della sua famiglia. Non importa quale saranno le mete o le vittorie; la famiglia sarà sempre un punto fermo: “quando sono partito per fare l'allenatore sentivo sempre la mancanza di casa e nell'anno di Santeramo ho portato tutto quello che avevo tra filmati e foto della mia famiglia per realizzarci un film su tutta la nostra vita. Nell'anno dello scudetto a Bergamo me lo guardavo prima di ogni partita e ha portato bene perché mi dava sicurezza. L'anno scorso invece non ho mai rispettato questo rito e, visti i risultati, penso proprio che da quest'anno tornerò a guardare quel filmato!” 

L'articolo originale è pubblicato sul sito di settembre 2012 di Pallavoliamo.it

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