Go Badgers! Le mie Final Four NCAA


La chiamano “March Madness” e penso che non ci sia termine migliore per definire l’atmosfera che si respira intorno alle fasi finali della NCAA: un lungo e festoso “delirio” che va avanti per giorni e giorni con concerti gratuiti – come quello di Rihanna – ,  clinic per gli allenatori, feste per i tifosi di ogni squadra, balli, allenamenti a porte aperte, gare di schiacciate, un’enorme Fan Zone attrezzata con campi e giochi di tutti i tipi per grandi e piccini; e ancora birrerie in festa, vie piene di Dj Set, Shop, Barbecue e tanto tanto altro.
Una “madness” davvero coinvolgente che ha finito per rapirmi completamente e ha superato di gran lunga tutte le mie aspettative.
Certo, ero sicuro che l’organizzazione sarebbe stata a dir poco perfetta– in fondo le Finals NCAA sono il quarto evento sportivo più seguito al mondo dietro solo ai mondiali di calcio, le Olimpiadi e il Superbowl – ma la realtà mi ha a dir poco sbalordito.
A partire dall’arena che ospitava l’evento: lo stadio degli Indianapolis Colts attrezzato ad “Arena del Basket” per l’occasione; una struttura magnifica capace di ospitare 72.000 persone senza mostrare nessun cenno di cedimento.
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Un esempio? Nonostante i controlli a dir poco maniacali, in 30/40 minuti si entrava e si usciva in tutta sicurezza; all’interno i fast food e gli shop erano tantissimi e ad ogni pausa lunga una bibita ed un panino non mancavano per nessuno. Certo, essere seduti a decine e decine di metri lontano dal campo non è il massimo, ma devo dire che la partita risultava godibilissima lo stesso, e anche se non si potevano apprezzare i contatti in diretta, le reazioni dei tifosi prima ed i replay sui maxi-schermi poi, aiutavano a vivere ogni azione al massimo. Di solito, queste grandi arene rendono la partita un po’ “fredda”, ma non e’stato questo il caso: le due partite dei Wisconsin Badgers in particolare – con i suoi tifosi la prima volta tutti in versione “Big Blue Nation” e la seconda “Rosso Wisconsin” – ha reso le gare entusiasmanti anche per chi stava seduto “in piccionaia” e io mi sono divertito come poche altre volte!
E parlando di Badgers (una delle quattro squadre finaliste assieme a Duke, Kentucky e Michingan), diciamo chesono ormai diventato uno di loro; anzi, ho letteralmente acquisito la cittadinanza dal Wisconsin. Anche se all’inizio tifavo gli sfavoritissimi Michigan State del grande Earvin Magic Johnson, poi una volta usciti loro sono diventato uno sfegatato tifoso della “Cinderella Wisconsin”, vincitrice del torneo nel lontano ’41 e già nelle Final Four lo scorso anno; sarebbe stata una gran bella storia vederli vincere contro la corazzata Duke, dopo che avevano compiuto il miracolo di battere l’apparentemente imbattibile Kentucky (fin lì 38-0) e temo anche che sarà molto difficile rivederli a questi livelli a breve considerando le partenze dei loro fortissimi Senior (Frank Kaminsky su tutti).
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Naturalmente approfittando delle decine di negozi in giro per Indy mi sono comprato di tutto; in particolare, il cappellino dei Badgers, che ho indossato durante la finale. Ho inoltre avuto modo di fare amicizia con decine di ragazzi e ragazze del Wisconsin – simpaticissimi e “carichissimi – tanto che mi sembrava di tifare per loro da sempre. Naturalmente resteranno nel mio cuore anche in futuro e chissà che un giorno non li chiami per una tappa del College Basketball Tour! Pensate che ero entrato così tanto nella parte che ho anche incrociato le dita delle mani col segno della “W” di Wisconsin ogni volta che incappavo negli altri tifosi e, credetemi, erano davvero tanti. Go Badgers!!
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Immaginate quindi la mia reazione all’ennesima azione di Frank “The Tank” Kaminski, un lungo dai piedi da ballerino, con la mano dolce dolce, che sia in semifinale che in finale ha  difeso e poi portato a spasso in attacco i super accreditati lunghi di Kentucky e di Duke, la sua azione tipica di entrata a canestro con giro giro dorsale è da clinic di attacco: davvero un fenomeno, totalmente sconosciuto due anni fa, e che secondo me farà davvero molta strada.
Che dire poi del tifo? In questo si nota una grande differenza con l’Italia. In USA, il tifo è quasi solo positivoe molto raramente si “insultano” o si inveisce contro gli avversari; a parte qualche “BUU” sulle decisioni arbitrali più controverse, per il resto il tifo è solo a favore della propria squadra. Al massimo, la banda ed i tifosi sotto al canestro si agitavano di più per far sbagliare il tiro libero, ma nel complesso si respira un rispetto ed un senso sportivo a cui purtroppo noi in Italia proprio non siamo  abituati. Per esempio, prima, durante e dopo la partita, tutti i tifosi stavano allegramente assieme indipendentemente dal colore, a festeggiare e a divertirsi senza tensioni ed in un clima davvero unico, uniti tutti dalla passione per il basket. Tutti dovrebbero venire a vivere questa esperienza per capire la differenza!
Ad essere differente è anche tutta l’organizzazione di un evento che è in primo luogo una grande festa. Innanzitutto, non c’è neanche un momento “vuoto”: prima le due semifinali e poi a tirar tardi fino al mattino a festeggiare i risultati; due giorni dopo si svolgevano le finali ma c’erano talmente tanti eventi a cui prendere parte che c’era l’imbarazzo della scelta!
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E non finisce qui: dal volo dell’aquila all’interno del palazzetto all’inizio alle coinvolgenti marce delle bande dei College ad ogni pausa; dai balli scatenati dei tifosi per venire inquadrati dalle telecamere all’incontro con i vari allenatori protagonisti della March Madness; allenatori che giravano in città allegramente salutando i tifosi senza sembrare di un altro pianeta come avviene da noi.
Anche se a dirla tutta una piccola pecca in questo paradiso del basket c’è: non ti lasciano portare dentro la macchina fotografica e per noi del College Basketball Tour, che dovevamo documentare tutto, è stata una doccia gelata! Fortuna il buon vecchio iPhone!
Che dire infine? È stata un’esperienza fantastica soprattutto per l’atmosfera generale che abbiamo vissuto, data da tante piccole cose, ma soprattutto da una cultura sportiva che in Italia fatica ad essere accettata e vissuta appieno.
La missione del College Basketball Tour è anche un po’ questa: sensibilizzare il pubblico italiano a un modo di vivere lo sport più sano e più positivo. Per questo, precisamente in questa ottica, dei tanti spunti che ho potuto prendere da questa esperienza, alcuni cercheremo di metterli in pratica già dalla prossima edizione del Tour.
Certo, però, che i costi che sostengono oltreoceano per eventi di questo tipo sono talmente alti che per una piccola organizzazione di appassionati come la nostra sarà difficile replicare un livello simile… ma, ve lo assicuro, aspettatevi sorprese per l’edizione 2015!
L'articolo originale è pubblicato su Basketlive.it

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