Lucia Morico


L' appuntamento con Lucia Morico è fissato presso la piccola palestra di judo del Kodokan di Marotta, un piccolo paesino in provincia di Pesaro. Per capire infatti questa disciplina - dal giapponese DO=Via (della) Do= Cedevolezza – bisogna innanzitutto osservarne i rituali e soprattutto rispettarli. “Un elemento cardine del judo è il rispetto. Nel momento stesso in cui entri in palestra, per esempio, devi fare il saluto al tatami, poi a Jigorō Kanō, il fondatore del judo: sono piccoli accorgimenti, come quello di tenere sempre pulito il luogo in cui si combatte, che hanno un grande significato. É un po' come nella pallavolo dare il cinque all'avversario, un gesto che se fatto non tanto per fare ha un significato molto bello. Nel judo questo concetto è anche più sentito”. Quello del rispetto, ci dice Lucia, è un passo indispensabile per poi arrivare a quelle che sono le vere e proprie tecniche di combattimento: “Ogni movimento del judo, infatti, ha a che fare con alcune “filosofie” che ti vengono spiegate e poste come esempio sin dai primi passi in palestra. Anche dietro ogni mossa c'è una storia che serve da insegnamenti. Per esempio, la mossa dell' “ippon seoi naghe” è letteralmente “il gesto della mantide”. Molti di quei movimenti che noi judoka compiamo per atterrare l'avversario, sono gesti che si ritrovano in natura e che grandi maestri del passato hanno studiato e poi applicato alle loro arti di difesa. La prospettiva di eseguire dei gesti che ci insegna la natura cambia dal semplice “buttare giù una persona”. Per questo il judo è più di un semplice sport: è un'arte, una disciplina, una vera e propria filosofia di vita. L'unico aspetto un po' negativo è che ci si sente un po' soli nella vittoria, in quanto sul tatami a combattere si è sempre da soli, e nel bene e nel male il risultato dipende sempre e solo da sé stessi. In uno sport di squadra come la pallavolo, il bello è che quando vinci lo fai insieme ad altri, e condividere la gioia è un'emozione molto positiva. Ma per quanto sia uno sport individuale, nel judo non ti alleni mai da sola; anzi, lo devi sempre fare con altre persone per imparare a proiettarle nella giusta maniera”. Ed è per questo che tra una spiegazione e l'altra mi ritrovo in mezzo alla pedana con addosso un judogi – il kimono del judo – e mentre Lucia spiega le varie prese mi trovo a volare in aria per poi finire schienata a terra. “I nomi di queste prese e tecniche sono tutti in giapponese in quanto il judo è nato in Giappone. La mia preferita è l' ippon seoi naghe nella quale carico l'avversario sulla spalla e poi lo lancio. Ho vinto il mio ultimo incontro alle Olimpiadi di Atene proprio grazie a questa tecnica”.

Nel momento in cui volo per l'ennesima volta al tappeto, mi rendo conto che davanti a me ho una campionessa olimpica che alle Olimpiadi di Atene del 2004 ha vinto un bronzo nella categoria dei 78 kg. Chi meglio di lei può quindi portarci alla scoperta del mondo del judo, uno sport considerato minore in Italia e poco adatto alle “femmine”? “Quando ero piccola io, fare judo per una ragazza non era certo la scelta più ovvia. Quando sono arrivata per la prima volta in palestra, infatti, era pieno di bambini e un po' preoccupata ho chiesto al maestro se anche le bambine potevano praticare uno sport di lotta come il judo. Naturalmente lui ha detto di sì e così ho scoperto che in palestra, soprattutto all'inizio il judo non è semplice “lotta” ma tanta tecnica e lavoro su sé stessi. In Italia sfortunatamente è uno sport minore, ma per esempio in Francia gli atleti del judo sono conosciutissimi. Per fare un esempio, ai mondiali di Parigi di qualche mese fa, c'era un videogioco del judo nel quale potevi scegliere il tuo atleta preferito. In Italia i bambini si avvicinano ad altri sport come il calcio e la pallavolo anche perché in televisione sono questi i due sport più pubblicizzati. Ma chi ha la fortuna di imbattersi in una palestra di Judo, lo vedo, poi si appassiona perché non è solo uno sport ma una disciplina che ti forgia lo spirito e il corpo donandoti una coordinazione mentale che gli altri non hanno. Certo, è uno sport di lotta, e quindi devi essere combattiva e competitiva: nel judo non devi assolutamente avere paura di buttare il sedere a terra. Una cosa che impari sin da subito e che il tuo maestro ti ripete in continuazione è “quando cadi rialzati””.

E Lucia sembra essere l'incarnazione di questi insegnamenti: quando parla della sua disciplina è un torrente in piena, ma sceglie con cura i termini da usare, attenta a trovare le giuste parole – l'etimologia è una sua passione – e a contagiarti con la sua allegria e ironia. Ma quello che più colpisce in questa atleta è la sua serenità, uno stato d'equilibrio che Lucia dice di aver raggiunto dopo la nascita di sua figlia Julia. “Ho disputato la mia ultima gara all'Olimpiade di Pechino il 14 agosto del 2008 e poi dopo è nata Julia. Io in realtà avevo già deciso di smettere di gareggiare ad alti livelli in quanto era mio desiderio cessare l'attività agonistica quando ancora ero al top: non volevo arrivare dall'altra parte della “montagna”. Io all'epoca avevo 32 anni e il judo normalmente ha un tetto fino a 35 anni: avevo dato tanto e avevo raggiunto tutte le mie soddisfazioni. Avevo veramente voglia di fare qualcos'altro e sentivo la maternità proprio come un'esigenza più del matrimonio e di tutto il resto. Diciamo che dopo il podio olimpico ho realizzato un altro grande sogno e questa volta la medaglia è stata d'oro. La maternità mi ha cambiato molto come persona, mi ha reso molto più serena, meno competitiva. Essendo una judoka mi è rimasta l'abitudine di ragionare a quadrienni - a pallavolo penso che si parlerebbe di stagione: io avevo deciso che questo quadriennio lo avrei dedicato solo a me e a Julia, anche perché ho stravolto molto la mia vita: da un'atleta sono diventata una mamma con una bambina, una casa, un lavoro e con una vita quotidiana che prima non avevo. Un cambiamento grande al quale per abituarmi avevo bisogno di tempo”.

Guardare Lucia alle prese con Julia che mangia un gelato, sembra difficile immaginarla alle prese con “strangolamenti e soffocamenti a terra”. “Non mi guardare adesso” scherza la campionessa “perché quando ero piccola ero un grande “maschiaccio”: non che non giocassi con le femminucce, ma semplicemente alle barbie preferivo i giochi da bambino. Quando sono andata in palestra ho scoperto che il judo ben si adattava al mio carattere e al mio modo di essere e che quindi stare in un ambiente prettamente maschile era l'ideale ”. La carriera di Lucia sul tatami della palestra di Marotta è iniziata a nove anni e mezzo: “ho iniziato a praticare judo quando avevo nove anni e mezzo e sono andata nella palestra Kodokan di Marotta dove c'è il mio attuale maestro Aldo Enea. Avevo deciso di fare sport perché soffrivo di una leggera scoliosi alla schiena e il mio medico mi aveva consigliato di fare dell'attività sportiva, specialmente nuoto.Tuttavia, mia madre non aveva possibilità di portarmi avanti ed indietro dalla piscina che si trovava a una decina di chilometri da casa e quindi ho guardato cosa offriva il palazzetto che ho davanti a casa. Avevo persino provato la ginnastica ritmica, ma non ero molto portata: a dirla tutta, ero un legno e ho solo un vago ricordo di un saggio che mi piacque solo perché avevo il body rosa. Così, per fare una cosa alternativa alla pallavolo ho deciso il judo. Ho chiesto anche al maestro se fosse uno sport adatto al mio problema alla schiena e Aldo mi ha detto “vieni, vieni che te l'addrizzo io quella schiena”. Battuta che mi ha convinto a scegliere questa disciplina”. Come ogni atleta professionista, Lucia è passata attraverso le varie fasi delle provinciali, delle regionali fino ad arrivare ai campionati italiani. “Ho iniziato il judo per “sport”. Ogni domenica ero impegnata con una gara e ho cominciato a vincere - e soprattutto a perdere - i primi incontri a dieci anni. La mia prima vittoria importante è stata quella dei Giochi della Gioventù del 1989. Mi hanno convocata in nazionale nel 1992, ma all'epoca andavo ancora a scuola e quindi non ho potuto prendere parte sempre ai raduni. 10 kg fa, quando cioè partecipavo alla categoria dei 66 kg, sono arrivata terza ai campionati nazionali juniores. In quel periodo ho avuto tanti alti e bassi e soprattutto tante difficoltà per la presenza di Emanuela Pierantozzi, una judoka davvero forte che per due volte è salita sul podio olimpico. La svolta nella mia carriera è avvenuta quando sono passata ai 78 kg e Manuela si è ritirata: finalmente sono arrivati i risultati! L'aver avuto a che fare con una avversaria così forte, anche se da un lato ha limitato le mie vittorie, mi ha aiutato a crescere e diventare più forte. Così a livello internazionale ho cominciato da subito la dire la mia conquistando i campionati europei e piazzandomi quinta ai Mondiali : un risultato per me storico che mi ha garantito l'accesso alle Olimpiadi di Atene”.

Alla classica domanda: “ma ti aspettavi di riuscire a vincere una medaglia”, Lucia risponde con “ più di aspettarmelo me lo auguravo davvero, visto la dura preparazione a cui mi ero sottoposta e che ho visto poche persone fare. Avevo fatto una preparazione bellissima ed efficace sotto la guida di Vittoriano Romanacci, il direttore tecnico della nazionale di judo e di Felice Mariani, maestro delle Fiamme Gialle. Ero molto sicura di quello che avevo fatto e quando ho visto il sorteggio sapevo che avrei potuto fare bene”. Un salto davvero grande per un'atleta che si era formata in una piccola palestra di provincia: “Ii passaggio dal Kodokan alle Fiamme Gialle è stato indispensabile, in quanto lì c'erano a mia disposizione tecnici e soprattutto strutture ben organizzate. Ma tutto questo non sarebbe stato possibile se a guidarmi nei miei primi passi non ci fosse stato un maestro come Aldo Enea, il mio primo grande maestro. Aldo ha avuto un ruolo fondamentale nella mia carriera. Mi veniva a prendere quando non avevo voglia di allenarmi, perché ci sono sempre dei momenti critici nella carriera di tutti, soprattutto all'inizio quando vedi i tuoi amici uscire e tu sei invece obbligata a fare delle scelte: è normale avere qualche cedimento. Lui mi è stato sempre vicino e mi dava la giusta motivazione. Se non fosse stato per lui forse molte cose non l'avrei neppure fatte. Lui, inoltre, ha un grande carattere e ha saputo trasmettermi quella stessa energia. E' stato l'incontro fortunato della mia vita. Quando Aldo ha capito che per fare dei grandi risultati mi doveva lasciare, mi ha permesso di andare con le Fiamme Gialle. Se nella pallavolo c'è il coach, nel judo noi abbiamo il maestro e questo già cambia molto nel rapporto che si instaura. Per maestro non si intende certo quello della scuola, ma il “maestro” nel judo è “colui che conosce la via maestra” e con questo titolo tu ti devi aspettare molto da questa persona. Nel mio caso, Aldo era una persona che mi ha davvero indicato la via, anche nelle cosa basilari come per esempio “quando cadi rialzati”.

Dopo una carriera fatta di tante vittorie, una medaglia olimpica e una figlia, che cosa riserverà il futuro a Lucia? “Intanto finisco questo quadriennio. Il prossimo vedremo se portare a Julia in palestra e soprattutto se raggiungere i bambini che mi stanno aspettando con il loro maestro. Tutta la palestra del Kodokan di Marotta ripone in me una grande fiducia, il che mi responsabilizza molto: però essere un discreto atleta non vuol dire essere automaticamente un buon allenatore. Il passaggio infatti non è così immediato. Quando sei un'atleta prendi per te stesso e in particolar modo nel judo, il lavoro è tutto incentrato su te stesso; essere un “maestro”, un Sensei, invece vuol dire “dare” usando un altro tipo di energia. Quando mi gioco questa carta con i bambini voglio dare il cento per cento, voglio cioè essere libera nella mente ed investire i seguenti quattro anni con loro nel miglior modo possibile”. Per il momento invece tutta l'energia è incentrata su Julia che sembra davvero intenzionata a seguire le orme materne: alla domanda cosa vuoi fare tra judo e pallavolo, la piccola non ha infatti dubbi: “judo”. E anche se “mamma” non la lascia vincere facilmente nelle “lotte” casalinghe, Lucia ci rivela che“Julia ha già il suo judogi in versione mini e l'ho già portata in palestra: sa già fare la “capriola” e naturalmente... l'ippon seoi naghe. E il suo nome si scrive con la J in onore del Judo!”. Sembra proprio che la piccola abbia già trovato la sua “via”.

L'articolo originale e le foto sono pubblicati sul numero di ottobre di Pallavoliamo nella sezione "L'Intrusa"

Commenti

  1. ciao io sono una alieva del maestro aldo enea e sono cintura gialla, il maestro aldo è una persona bravissima e ha tutta la pazienza per
    insegnare judo, è una persona fantastica!!!!!!!
    ti scrive l'allieva flavia scapellato!
    bacini

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  2. Ciao Flavia...anche io ho avuto l'onore di essere allenata da Aldo...ed è davvero una persona fantastica! Dedicare un articolo alla sua allieva più importante è un tributo al caro Aldo!! Grazie per il commento!

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